"Per cominciare si potrebbe cambiare da subito la denominazione "Giorno della Memoria" in "Giorno delle Memorie". La nuova denominazione dovrebbe riorientare le manifestazioni, gli studi, l'edificazione della casa della Memoria come laboratorio della cultura di pace, di giustizia, di uguaglianza nel ricordo di tutti i genocidi e degli stermini di massa. Accomunati nel destino di essere stati vittime dell'odio annientatore, Ebrei, Rom e Sinti, Slavi, menomati, omosessuali, militanti della libertà, antifascisti, Cambogiani, Tutsi, Cinesi, Coreani, Argentini, i rappresentanti delle genti che hanno sofferto la pandemia dell'odio, interconnessi in una rete planetaria, potrebbero attivare un progetto comune per fare della memoria lo strumento principe per la fondazione di un'umanità redenta dalla violenza e dalla discriminazione."
Moni Ovadia,
Ferdinando Valletti, mediano del Milan , veronese di nascita , all’inizio degli anni ‘40 veste la casacca della Milano rossonera. Nel 1944, per aver partecipato a uno sciopero con gli operai dell’Alfa Romeo, viene tratto in arresto e condotto al carcere di San Vittore, finisce nel lager Mauthausen, uno dei più orribili luoghi della seconda guerra mondiale.
Aveva fatto già parte della Brigata Garibaldi e distribuito volantini per conto del movimento operaio in agitazione per i fatti dell’Alfa Romeo. Nel campo di concentramento, Valletti si riduce a meno di quaranta chili. Eppure, nonostante gli stenti e i trattamenti subiti, riesce a sopravvivere, distinguendosi per generosità e forza di volontà. Di lui racconta pure Aldo Carpi, nel suo “Diario di Gusen”, descrivendo il giovane calciatore del Milan come un bravo ragazzo, che più volte lo aveva aiutato nel lavoro e in una particolare occasione gli aveva addirittura salvato la vita.
Invece, a salvare Ferdinando, provvede il pallone. Le milizie di vigilanza nazista nei campi di sterminio erano solite organizzare, per svago e passatempo, partite di calcio tra soldati e a volte anche con prigionieri. In occasione di una di queste manca un giocatore. Uno dei militari tedeschi si ricorda di Ferdinando calciatore e decide di farlo giocare per completare il numero utile all’incontro. Valletti, nonostante pesi 39 chili e si mantenga a stento in piedi, partecipa alla partita e si guadagna la possibilità di lavorare come sguattero addetto alla distribuzione di bucce di patate ai prigionieri del campo.
Il suo nuovo lavoro gli consente di aiutare molti suoi compagni di sventura, grazie anche al fatto di poter disporre degli avanzi dei pasti riservati ai soldati tedeschi. Nel maggio del 1944 viene liberato e al suo ritorno a casa si presenta in condizioni al limite della sopravvivenza. Nel frattempo, 10 mesi prima, era nata sua figlia, Manuela, che da giornalista racconterà di lui e della sua prigionia, attraverso il libro “Deportato I 57633 Voglia di non morire”, come faranno pure Mauro Vittorio Quattrina, con l’omonimo documentario, e lo stesso Aldo Carpi, suo compagno di persecuzione.
Fernando Valletti se ne va nel 2007, dopo che dal 2000, a causa del morbo di Alzheimer, era stato costretto a ritirarsi definitivamente a vita privata.
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