"Lungo la strada solitaria, un po’ in salita verso il fitto bosco di abeti, crescevano dei meli. Solo di tanto in tanto si udiva il cigolio di un carro, altrimenti nulla. Soltanto il silenzio del sole e dell’erba, e l’indifferente maturare dei frutti semiverdi. Fra l’erba l’inebriante raschiare delle cicale, instancabile e monotono, quasi esprimesse il perenne e impercettibile germogliare della terra, buona e immensa.
Forse è meglio che non ci sia, si disse. L’amicizia con la natura è essenzialmente diversa da quella che si instaurerebbe se lei fosse qui. Perché la natura, come tutte le madri, è gelosa; e si comporta in maniera del tutto diversa con il proprio figlio, se non è presente colei che si è impossessata del suo corpo di giovane maschio. Tanto più se questo figlio era destinato a morire ed è tornato miracolosamente a giacere nel suo grembo. Tutta la crescita delle viti e dei meli è per lui. Tutto il calore del terreno fertile è per le sue membra che hanno dormito con la morte scheletrica. Tutta la linfa degli steli entra in lui. Tutto lo zucchero scorre dai grappoli dorati e violetti nelle sue vene. In particolare, è tutto per lui l’infinito e incontaminato silenzio, dove poter raccogliere i propri pensieri infranti. E il sole. Il sole adesso è il meglio. È morbido e caldo. Caldo tutt’attorno e caldo su ogni singolo centimetro quadrato di pelle. E da ogni cellula evapora un freddo nascosto e insidioso. Da ogni citoplasma e da ogni nucleo fuoriesce l’alito del nulla. Sotto i raggi del sole nascono nuove unioni e trasformazioni, come la clorofilla nella fotosintesi. Il sole. Buono come il pane. Necessario come l’acqua. Bisogna inspirarlo, lentamente e profondamente, perché penetri ovunque e si diffonda in tutte le direzioni. Così. E così. L’uomo potrebbe vivere sempre con la natura, in modo saggio e ragionevole, certo, dovrebbe usare le proprie scoperte solo al fine di tramutare i deserti in oasi. A beneficio dell’uomo. Perché non ha senso avere il sole, se poi ti danno il crematorio. Non ha senso scoprire i sulfamidici, per poi dare alla gente Hiroshima. Nessun senso. Eppure ci hanno dato Goethe, Mozart, Beethoven, dopodichè hanno rilegato i libri con pelle umana e concimato i vasi di fiori con ceneri umane. La natura non fa queste cose. La natura non è così crudele verso l’uomo. Segue semplicemente le leggi che la guidano. E tuttavia l’uomo è diventato tale solo nel momento in cui si è separato con il pensiero dalla natura, anche se non ha smesso – né smetterà mai – di esserne parte. Perciò deve mostrarsi solidale con tutti gli esseri che, come lui, si sono innalzati al di sopra della natura e hanno cominciato a costruire il loro mondo su di essa e accanto a essa. Per lui questa è legge. La prima legge. La legge di tutte le leggi. Nessuno ha il diritto di alzare la mano su un altro uomo. Nessuna scusa può giustificare un tale peccato, né la coscienza della propria forza e singolarità, né il benessere della maggioranza, né la preparazione di un bel futuro. Non è possibile tenere in considerazione la comunità e uccidere il singolo. Non è possibile. Bisogna rispettare l’uomo. A ogni costo. Ecco. Questa è l’unica legge. L’alfa e l’omega di tutto". Una primavera difficile di Boris Pahor © Zandonai Editore
Boris Pahor ( Trieste il 28 agosto 1913) il maggiore scrittore sloveno di cittadinanza italiana, nato 100 anni fa a Trieste, testimone coraggioso dei crimini perpetrati dal fascismo e voce vibrante di una minoranza linguistica perseguitata, durante la seconda guerra mondiale. Laureato in Lettere nell’Università di Padova, ha insegnato lettere italiane e slovene nella città giuliana. Durante la seconda guerra mondiale ha collaborato con la resistenza antifascista slovena ed è stato deportato nei campi di concentramento nazisti, esperienza che lo ha segnato fortemente e di cui si trova traccia in gran parte della sua ricchissima produzione letteraria, a cominciare da “Necropoli” . I suoi libri, scritti in sloveno, sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco, spagnolo e perfino in esperanto. Lo scrittore festeggia un secolo il 26 agosto e si racconta nell'autobiografia "Così ho vissuto. Il secolo di Boris Pahor"per la collana Overlook di Bompiani a cura di Tatjana Rojc , un racconto etico e vivo, denso di avvenimenti e aneddoti . Non si tratta solo di una autobiografia ma anche di una storia di Trieste, storia in cui si specchia la storia del novecento europeo, l'8 settembre è atteso al Festivaletteratura di Mantova.
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