martedì 29 gennaio 2013

L'Italia di Le Corbusier

MAXXI ARCHITETTURA DI ROMA
FINO AL 17 FEBBRAIO
















Architetto, scultore e pittore, maestro del Movimento Moderno, Le Corbusier, senza dubbio uno dei piu'grandi nomi del design internazionale.
In mostra a Roma circa 600 tra disegni, schizzi e acquerelli, nonchè dipinti e fotografie originali dell'epoca, a significare la stretta correlazione e influenza che l'arte italiana ebbe su tutta la sua opera.

“Il MAXXI Architettura – dice il Direttore Margherita Guccione - prosegue l'indagine su temi, forme e figure del XX e XXI secolo. In questo caso la scelta del rapporto tra Le Corbusier e l'Italia è una chiave di lettura che restituisce la poliedricità, molto contemporanea, della sua figura: architetto, urbanista, designer, pittore, scultore e homme de lettres ha letteralmente rivoluzionato il modo di pensare l'architettura investendo con la sua lezione l'intero pianeta"






Uomo di lettere amava definirsi, di certo un uomo che si è relazionato con gli artisti del suo tempo distinguendosi per l'eccezionalità del suo pensiero. Sua l'idea di "città radiosa", concetto di luce, di luminosità che molto deriva dalle opere da lui osservate in Italia dal tardo classico al rinascimento.
Le Corbusier progetto' edifici su immagine del complesso da lui realizzato a Marsiglia, in cui oltre le abitazioni, i potevano trovare negozi, palestre hotel per i parenti in visita, o scuola materna con area giochi per bambini...insomma una piccola città funzionale concepita per il confort.

la mostra dedica anche uno spazio a Le Corbusier pittore, con alcune opere che evidenziano il suo interesse per il purismo.



lunedì 28 gennaio 2013

Louise Farrenc








Louise Farrenc - Parigi 1804 - 1875

Quintetti e opere per pianoforte, sinfonie, musica da camera. Jeanne-Louise Dumont Farrenc è stata un'ottima compositrice. Ma non la conosce quasi nessuno. Nacque il 31 maggio 1804 da una famiglia di pittori e scultori. Suo padre si chiamava Jacques-Edme Dumont (1761-1844) ed era uno scultore di successo. Così era stato per il suo bisnonno, Pierre, per suo nonno François, per suo padre Edme e così sarebbe stato per suo figlio Alexandre-Augustin, il fratello maggiore di Louise. Erano artisti gli zii (alcuni miniaturisti). E in casa si respirava un’atmosfera bohémienne, che mischiava successo e difficoltà economiche. Le donne godevano anche di impensabili libertà. Per esempio quella di studiare musica. In modo serio. Come fece Louise che iniziò prestissimo a prendere lezioni da un’allieva di Muzio Clementi. Appena in casa compresero che aveva talento, la mandarono da due veri virtuosi: il compositore boemo Ignaz Moscheles, che avrebbe preso il posto di Felix Mendelssohn nella guida del Conservatorio di Lipsia. E lo slovacco Johann Nepomuk Hummel, compagno di studi di Ludwig van Beethoven e allievo anche di Joseph Haydn e Muzio Clementi. I genitori si accorsero che sapeva anche comporre e le fecero prendere lezioni da Anton Reicha, un compositore all’epoca molto quotato che fu, tra l’altro, maestro di Franz Liszt e Hector Berlioz. In quel periodo Reicha insegnava al Conservatorio della città natale di Louise, Parigi. Non sappiamo, però, se Louise poté seguire le sue lezioni in classe: al solito, i corsi al Conservatorio erano riservati ai maschi. Louise divenne amica di un flautista, Aristide Farrenc, che dava regolarmente concerti presso la colonia d’artisti della Sorbona e aveva dieci anni più di lei (sarebbe morto esattamente dieci anni prima). Nel 1821 si sposarono: lei aveva 17 anni. Louise interruppe i suoi studi e si mise a seguire il marito nei suoi tour per la Francia. Ad Aristide, però, non piaceva girare: tornò a Parigi, fondò le Editions Farrenc, che sarebbero presto diventate un riferimento per l’editoria musicale francese. E divenne l’impresario di sua moglie, sostenendone il talento senza riserve. In più pubblicò tutte le sue composizioni, ed è per questo che le possediamo anche noi: caso raro per le compositrici. Il 23 febbraio 1826 i due ebbero una bambina, Victorine, anche lei un precoce talento per il pianoforte. Victorine morì però a 33 anni non ancora compiuti, il 3 gennaio 1859, quando la sua carriera di concertista era già affermata.
Nel frattempo Louise aveva completato i suoi studi con Reicha. Negli anni Trenta dell’Ottocento, cominciò le sue tournées. Suonava e componeva. E divenne celebre come pianista. Nel 1842 fu nominata docente di piano al Conservatorio di Parigi. Era l’unica donna. Tenne la cattedra per più di 30 anni, fino al 1873. Per i primi anni fu pagata meno dei suoi colleghi, benché fosse molto più conosciuta di gran parte di loro. La sua Sinfonia n 3 in sol minore, op. 36, scritta nel 1849, ebbe successo presso la super-selettiva Société des Concerts du Conservatoire e divenne un vero hit. Ma ci volle il suo Nonetto in mi bemolle maggiore, op. 38, del 1850, per convincere il Conservatorio ad alzarle lo stipendio. Più audace il suo Sestetto per piano e archi in do minore op. 40, considerato, oggi, avanti sui tempi. Se, dunque, negli anni Venti e Trenta dell’Ottocento, Louise scrisse soltanto per piano, via via il suo lavoro si ampliò. Alla fine il suo repertorio contava 49 lavori.
Nel frattempo lei e il marito si erano dedicati alla musica antica: ritrovarono e pubblicarono i più importanti brani per clavicembalo. Quando Aristide morì, Louise continuò il lavoro da sola. Il risultato fu il Trésor des Pianistes, ovvero due secoli di spartiti per clavicembalo e piano. Come compositrice, però, nonostante l’apprezzamento degli esperti, a cominciare da Robert Schumann, non riuscì ad affermarsi: troppo simile a Beethoven e Mendelssohn, le dicevano. Troppo classica, troppo di gusto tedesco. E poi sembrava così fuori luogo che una signora componesse sinfonie e musica per orchestra. Finì anche lei per preferire i suoi brani da camera, che venivano regolarmente eseguiti. Grazie a essi vinse per due volte, nel 1861 e nel 1869, il premio Chartier, organizzato dalla Académie des Beaux-Arts.
Morì il 15 settembre 1875. E fu presto dimenticata.

Valeria Palumbo

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domenica 27 gennaio 2013

A PROPOSITO DEGLI ANIMALI.


  • Perché alcune persone evitano gli animali?

  • Perché altri provano disgusto anche solo a guardarli?

  • Perché spesso non ci si accorge nemmeno delle loro sofferenze?


Gli animali, simbolicamente, ci raccontano la nostra istintualità, parlano del nostro mondo emotivo, di ciò che facciamo spinti da un impulso interiore e, a volte, senza nessuna logica.

Oggigiorno l’istintualità è malvista.

Esiste una “dittatura” della razionalità che, purtroppo, porta con sé anche tanta sofferenza psicologica, perché, privilegiando la ragione, spesso finisce col trascurare il cuore, le emozioni e i sentimenti.

Gli animali, l’istinto e il cuore hanno in comune l’ascolto di se stessi.

Noi psicologi riteniamo che riconoscere e ammettere ciò che si sente dentro, senza reprimerlo, sia una via per la salute mentale (D. Goleman “Intelligenza Emotiva”; G. Bateson “Verso un’ecologia della mente”).

Gli animali non soffrono di malattie mentali, non prendono psicofarmaci, non vanno dallo psichiatra.

Ascoltano il loro istinto.

Hanno poco a che fare con la sofferenza psicologica che affligge il nostro mondo e che ci spinge a usare delle pillole per sentirci bene.


Nella nostra civiltà, l’istinto e le emozioni, purtroppo, sono spesso in conflitto con la ragione e il controllo.

La parte animale di noi stessi, non ascolta ragioni e sfugge al controllo.

Non è civilizzabile.

E’ selvaggia.

Libera.

Il mondo animale, perciò, parla alle nostre parti indomabili e indipendenti.

Gli animali sanno, senza bisogno di parole.

Sanno ritrovare la strada di casa.

Sanno quando è il momento di migrare.

Sanno quando fare il nido.

Sanno di non potersi fidare dei sorrisi e delle belle maniere.

Conoscono l’istinto e non ne hanno paura.

L’uomo, invece, preferisce seguire la ragione, l’istinto lo ascolta poco (e a volte se ne pente).

Censura le emozioni.

Soffre di depressione e attacchi di panico.


Il simbolismo degli animali ci mette in contatto con un sapere immediato e ancestrale, che spinge a fare la cosa giusta al momento giusto, senza passare per la ragione.

In questo senso, i rapporti che abbiamo con gli animali ci raccontano i rapporti che abbiamo con le nostre emozioni.

Ci dicono in che modo gestiamo la nostra istintività. Parlano dei nostri aspetti emotivi, passionali, teneri, fragili, aggressivi, istintivi.

Spesso la fobia per un animale nasconde la paura di ciò che quell’animale rappresenta per noi.

Ogni animale assume un significato simbolico diverso per ogni persona, ma nell’immaginario collettivo alcuni contenuti sono universali e si possono fare delle generalizzazioni.

Così, i cani rappresentano spesso la dedizione, la capacità di darsi totalmente e incondizionatamente a qualcuno.


La paura dei cani, di solito, nasconde la paura di abbandonarsi alla devozione per un altro essere.

I gatti sono invece un simbolo d’indipendenza e di eleganza.


La paura dei gatti sottende la paura di vivere pienamente la propria autonomia.

Il topo porta le stimmate della capacità di sopravvivenza in situazioni difficili, rappresenta il legame con la vita e il bisogno di essere se stessi.


La paura dei topi, che oggi affligge tante persone, parla del conformismo che permea la nostra società e descrive la paura che molti hanno nel permettersi di essere profondamente e radicalmente ciò che sentono di essere.

Quando abbiamo paura di un animale, teniamo alla larga tutto ciò che simbolicamente rappresenta per noi.

Quando invece ci avviciniamo a un animale, avviciniamo quella parte dentro di noi e, cercando di fare amicizia, la integriamo nella nostra personalità.

Ci sono animali che ci piacciono e animali che non ci piacciono.

Proprio come esistono aspetti di sé con cui è più facile entrare in rapporto, e aspetti che, invece, ci mettono in difficoltà o che evitiamo.


Sempre, però, l’amore per gli animali rappresenta l’amore per la vita.

Mentre, l’odio verso gli animali nasconde un disprezzo profondo per se stessi e per quella parte di se che alla vita è maggiormente legata.


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noi ricordiamo così



d : poesia


Mi hai fatto senza fine
questa è la tua volontà.
Questo fragile vaso
continuamente tu vuoti
continuamente lo riempi
di vita sempre nuova.

Questo piccolo flauto di canna
hai portato per valli e colline
attraverso esso hai soffiato
melodie eternamente nuove.

Quando mi sfiorano le tue mani immortali
questo piccolo cuore si perde
in una gioia senza confini
e canta melodie ineffabili.
Su queste piccole mani
scendono i tuoi doni infiniti.
Passano le età, e tu continui a versare,
e ancora c'è spazio da riempire.

 
Rabindranath Tagore



sabato 26 gennaio 2013

Periferia che si fa borgo






Un progetto per rafforzare lo spirito di comunità e favorire la conoscenza e il dialogo tra generazioni e culture diverse a questo punta "Cittadini di Pescarola: periferia che si fa borgo" che si svolge a Bologna tra via Agucchi e via Zanardi (alloggi ERP).
Il progetto promosso da: Coordinamento volontariato Lame, Rete Lame, Quartiere Navile, Banca del tempo Navile, Acer e Dipartimento di sociologia dell’Università d Bologna in collaborazione con il Centro servizi per il volontariato Volabo ruota intorno a "Spazio Comune" un posto dato in concessione gratuita dall'amministrazione comunale e dove si svolgono attività di vario tipo (gratuite) rivolte ad anziani, bambini, immigrati. Spazio comune è diventato un punto di riferimento e di socializzazione.





giovedì 24 gennaio 2013














  Lettera che il nuovo Sindaco di Lampedusa ha scritto all'Italia e
all'Europa.
Ogg: Lettera del Sindaco di Lampedusa



Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa. Eletta a
maggio 2012, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di
persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è
una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore.
Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della
provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme; il
Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti
una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?
Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere
considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l'idea,
per
esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini
di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante
un viaggio
che avrebbe dovuto essere per loro l'inizio di una nuova vita. Ne sono
stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga
superiore al numero dei corpi che il mare restituisce.
Sono indignata dall'assuefazione che sembra avere contagiato tutti,
sono scandalizzata dal silenzio dell'Europa che ha appena ricevuto il Nobel
della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una
vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea
sull'immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per
calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il
viaggio sui barconi è
tuttora l'unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare
debba essere per l'Europa motivo di vergogna e disonore. In tutta questa
tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l'unico motivo di
orgoglio
ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano
vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai
naufraghi,
come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le
velocissime
motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha
invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono
però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche
quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche.
Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze
preposte al soccorso e all'accoglienza, che dà dignità di esseri umani
a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all'Europa intera.
Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i
telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato.
Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato
durante una vacanza".
Giusi Nicolini

mercoledì 23 gennaio 2013

Sole, mare e....lavoro!






Alternative a misure detentive sotto queste parole così fredde, burocratiche si celano persone vere che soffrono e che hanno esperienze di disagio non sempre alle spalle. Lo Stato cerca, con poca convinzione, per la verità, di trovare alternative al carcere, sovente a farsi carico di questi tentativi è l'associazionismo con settori dello Stato. Il progetto “GaioLavoriamo insieme” è una valida alternativa al carcere, realizzato dal Sert dell' Asl Na 1, il centro diurno Palomar e dalla Onlus Csi Gaiola, coinvolge, per ora, 20 tossicodipendenti si prenderanno cura della pulizia della spiaggia, della manutenzione dell’ex convento e della realizzazione di un orto botanico mediterraneo, tutto questo nell'area marina protetta denominata Gaiola a Napoli.



“Ripuliamo una parte della città. E’ uno stimolo a ripulire noi stessi”, dice Raffaele a nome dei suoi compagni, “Vogliamo dimostrare che tanti luoghi comuni su di noi sono sbagliati e meritiamo un’opportunità”.



“Ci sentiamo molto responsabilizzati perché dal nostro lavoro può dipendere la possibilità per altri ragazzi, oggi in carcere, di usufruire della possibilità che è stata data a noi”, dice uno dei tossicodipendenti coinvolti. “Con un lavoro sento finalmente un riconoscimento di dignità. Un giorno porterò alla Gaiola mio nipote e gli spiegherò che quanto vede l’ho fatto anche io”, commenta un altro.


martedì 22 gennaio 2013

Francesco Vezzoli - Con Amore




"Nella vita, e nel mio lavoro, non credo nelle scelte elitarie: devono essere o realmente esclusive o realmente pubbliche e popolari. Quindi ho pensato ad un progetto con una tiratura molto ampia e ad un oggetto d'uso comune del passato come le cartoline postali di una volta che ritraevano ballerine e altri soggetti ricamati"


foto di Francesco Scavullo


L'artista  Francesco Vezzoli ha realizzato l'opera dal titolo : Con Amore, Francesco Vezzoli (Francesco by Francesco) in edizione limitata e venduta esclusivamente online su yoox.com. Il ricavato sarà devoluto al Fondo Ambiente Italiano, per la ricostruzione del Palazzo Comunale di Finale Emilia danneggiato dal terremoto, edificio che rappresenta l'anima, il senso di comunità e di aggregazione della città.

L' autoritratto ricamato   è il primo multiplo realizzato dall'artista in un'edizione di 399 esemplari, (in una sfarzosa cornice ). numerati e firmati, per 399 euro l'uno, con dedica dell'autore, in glitter fuchsia.





Francesco Vezzoli  ( Brescia 1971) artista di fama internazionale . Famoso per le lacrime ossessivamente ricamate a mano sui volti delle dive di ieri e di oggi, ha studiato presso la scuola del Central St. Martin of Art di Londra dal 1992 al 1995, attualmente vive e lavora a Milano.


lunedì 21 gennaio 2013

Il silenzio può diventare oro



Bar senza nome si chiama così il ritrovo aperto da Alfonso e Sara è un bar unico in Italia e forse in Europa per un motivo molto semplice: Regna il silenzio quello subito da chi è sordo e si ordina solo tramite bigliettini o lingua dei segni.
I gestori provengono da esperienze lavorative diverse si sono incontrati perchè hanno in comune la passione per il teatro e per anni hanno organizzato spettacoli per non udenti, poi di colpo l'illuminazione: perchè non aprire un bar per sordi? Con mille difficoltà (in Italia non esistono leggi che forniscono aiuti o informazioni  a  disabili intenzionati ad intraprendere attività economiche) il locale è stato aperto.


Alfonso e Sara dicono: "All'inizio eravamo un po' preoccupati per l'apertura del locale, perché non sapevamo come la gente avrebbe reagito alla nostra iniziativa - raccontano - . La paura più grossa era quella che si vergognassero di imparare il linguaggio dei segni  ma in realtà è stato l'esatto contrario. Bologna è una città universitaria, dalla mentalità molto aperta, che ha accolto con grande entusiasmo la nostra idea. Adesso nel bar viene un sacco di gente curiosa e desiderosa di cimentarsi con il nuovo metodo per ordinare, ma anche solo per rilassarsi in un ambiente calmo e silenzioso".
Urge un Bar senza nome in qualche città del sud Italia.

domenica 20 gennaio 2013

d : poesia






Aprimi Fratello

Ho bussato alla tua porta
ho bussato al tuo cuore
per avere un letto
per avere del fuoco
perché mai respingermi ?
Aprimi fratello !

Perché domandarmi
se sono dell'Africa
se sono dell'America
se sono dell'Asia
se sono dell'Europa ?
Aprimi fratello !

Perché domandarmi
quant'è lungo il mio naso
quant'è spessa la mia bocca
di che colore ho la pelle
che nome hanno i miei dci ?
Aprimi fratello !

Io non sono nero
io non sono rosso
io non sono giallo
io non sono bianco
non sono altro che un uomo.
Aprimi fratello !

Aprimi la porta
aprimi il tuo cuore
perché sono un uomo
l'uomo di tutti i tempi
l'uomo di tutti i cieli
l'uomo che ti somiglia ! 


Rene Philombe

giovedì 17 gennaio 2013

VIDEO - Dove vola l'avvoltoio

Le personalità creative: SONO ALTRUISTE


La grande capacità di comprendere gli altri spinge le personalità creative a considerare sempre l’interesse di tutti, a volte anche contro il loro stesso interesse.


Questo costituisce, probabilmente, il loro talento meno compreso!

Infatti, la generosità che ne guida le azioni non è facilmente intuibile e le motivazioni altruistiche possono non essere immediatamente chiare neanche a loro stessi.

Occorre spesso un’attenta valutazione per cogliere le ragioni cooperative celate dietro le azioni delle personalità creative.


L’ingegnere?


... meglio che faccia la casalinga!!


Quando s’innamora di Luciano, Roberta ha una laurea in ingegneria e una brillante carriera universitaria davanti a sé.

Creativa e piena d’interessi, sa coniugare dolcezza e determinazione in un mix veramente affascinante.

Luciano è incantato da quella poliedrica intelligenza e le chiede di accelerare i tempi del matrimonio.

Così, insieme, decidono di sposarsi e di mettere su una bella famiglia.

Dopo qualche anno nasce Valeria, poi arriva Romina e infine Stefano.

Per seguire meglio i bambini, Roberta abbandona il lavoro all’università e, ben presto, le attività creative cedono il posto alle attività domestiche.

In breve tempo il brillante ingegnere si trasforma in una colf sottopagata e brontolona che insegue i bambini per fare i compiti e urla davanti a un calzino scompagnato.

“Sono confusa e non so neanche perché vengo qua da lei...” mi racconta “I miei bambini sono la mia vita, li amo sopra ogni cosa, però, ormai, per loro sono diventata la strega cattiva e mi sembra che nessuno voglia più avermi vicina.”

Una strega che dichiara se stessa?!

E’ abbastanza inusuale nello studio di uno psicologo… Perciò decido di non fidarmi troppo di quelle affermazioni.

Nel corso dei colloqui, infatti, emerge una mamma divertente, complice e capace di organizzare giochi, feste e merende non solo per i suoi figli ma anche per i loro amici.

Ma allora?!

Roberta ha mentito?

Quand’è che si presenta la strega?

Rifletto tra me, sentendo crescere i sospetti.

Come scoprirò durante il percorso terapeutico, la strega appare alla presenza di Luciano!

E con le sue sfuriate e i suoi rimbrotti riesce a sollevarlo dalla paura segreta di non farcela a reggere il passo dell’ingegnere, poliedrico e creativo, che ha sposato.

E’ così che, nascosta dietro la veste da strega, scopro una grande passione!

Infatti, per amore di Luciano, Roberta ha occultato (anche a se stessa) quasi tutte le sue risorse professionali e creative.

Abbandonando il suo lavoro da ingegnere e lasciando alla strega il compito di gestire il ruolo della casalinga, rassicura il marito facendolo sentire costantemente "il migliore”.

Per merito della strega Luciano, che ha soltanto la licenza media e che si è fatto tutto da se, diventa l’unico ad avere successo professionalmente, economicamente e con i bambini.

Rinunciare a usare molti aspetti di se stessa è il modo che Roberta ha trovato istintivamente, per non far pesare al marito il suo titolo di studio, le sue possibilità di guadagno, la sua creatività e la sua empatia.

Quando diventa “la strega”, Roberta perde ogni “successo” mentre Luciano diventa ricco.

Forse non ricco di titoli… ma, certamente, ricco di possibilità, empatia, creatività e risorse!

Nel corso della terapia Roberta dovrà riappropriarsi della carriera professionale e lasciare che il suo anticonformismo entri a far parte della relazione di coppia.

Solo così il rapporto con i tre figli potrà essere vivificato dai metodi nuovi e originali con cui è solita risolvere i problemi e superare le difficoltà.

Gettata la veste da strega e ritrovata quella da sposa, Roberta dovrà lasciare che la passione e la creatività la trasformino in uno “sciamano” (invece che in una megera) capace di muoversi con maestria tra le tante dimensioni della vita familiare, lavorativa, sociale e coniugale.


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mercoledì 16 gennaio 2013

Jan Vermeer - il secolo d'oro dell'arte olandese


"La Veduta di Delft 
è la più intensa 
delle visioni: quella
delle  leggi sconosciute
che ciascuno trova 
iscritte dentro di sé.
Leggi di pure luce,
verso le quali
c'incammina il paziente 
lavoro dello sguardo
e dell'udito,
del pensiero, del cuore,
del sogno e dell'attesa."
(Sylvie Germain -Vermeer. Pazienza e sogno di luce- Elliot edizioni 2004 )

Jan Vermeer-Veduta di Delft 
olio su tela di cm 96,5 x 117,5 1660 
( Mauritshuis dell'Aia)



La mostra “Vermeer il secolo d'oro dell'arte olandese” alle scuderie del Quirinale, fino al 20 gennaio 2013 

domenica 13 gennaio 2013

Le personalità creative: POSSIEDONO UNA MOLTEPLICITA' DI SE'


La capacità di sperimentare le emozioni (proprie e altrui) senza censurarle, si trasforma in ricchezza interiore e nella poliedrica possibilità di usare parti diverse di se stessi in momenti e situazioni diverse.

Questa molteplicità di sé permette alle personalità creative di essere persone diverse secondo le circostanze.

Quando, però, non è riconosciuta, può creare momenti di confusione e incertezza.

La possibilità di avere un ventaglio di punti di vista contemporaneamente (ad esempio tanti quanti sono i partecipanti a una discussione) mette in serio pericolo la percezione della propria coerenza.

Le personalità creative riescono a immedesimarsi con facilità nei vissuti degli altri e scoprono molto presto che ognuno (calandosi nel suo punto di vista) ha ragione.

Infatti, partendo dagli stessi presupposti si giunge di solito alle stesse conclusioni.


AURORA, JACOB E LE VACANZE


IN SARDEGNA


Quando arriva al primo appuntamento Aurora non sa più cosa fare… con se stessa!

Il suo tirocinante Jacob è svogliato e perditempo e sembra interessato più al mare della Sardegna che al tirocinio nel laboratorio di ceramica etnica.

Aurora è sempre piena d’impegni e conduce una vita indaffarata e senza soste, dividendosi tra la ceramica etnica, la ricerca universitaria sulle tradizioni popolari e una vita di coppia appena cominciata e già problematica.

Ha accettato di prendere con sé un tirocinante, soltanto perché glielo ha chiesto una persona che per lei è speciale, l’insegnante di antropologia con cui ha fatto ricerca all’università.

Adesso, però, si rende conto che il giovane straniero, promettente e pieno d’inventiva (così le è stato proposto), è qui soprattutto per farsi una vacanza pagata dalla borsa di studio.

I ritmi lenti di Jacob la innervosiscono e quel suo vivere perennemente alla giornata, senza progetti, lo sente come un fardello che grava su di lei.

“Come mai si assume totalmente la responsabilità del rendimento di Jacob?” le domando, cercando di comprendere le ragioni di quell’esagerato senso del dovere.

“Non posso esonerarmi!” sospira, giocherellando col bordo della giacca “Non voglio che la professoressa di antropologia pensi che trascuro il lavoro che le ho promesso.”

“Ma è stata proprio la sua insegnante a proporle Jacob, di sicuro ne conosceva l’indolenza.”

Aurora mi guarda interdetta, sa benissimo che è così. Ma non riesce a restare fedele a quella comprensione.

La molteplicità dei suoi punti di vista la porta a essere contemporaneamente tre persone diverse e coinvolte in questo problema: Aurora, Jacob e la professoressa di antropologia.

Mi armo di pazienza.

Ci vorrà un po’ di tempo per chiarire insieme la pluralità dei suoi sé.

La capacità di essere diversa in situazioni diverse, è ciò che in questo momento rende Aurora confusa e insicura rispetto al comportamento da tenere con Jacob.

Infatti:

  • Quando lavora con lui, sente che l’attenzione mutevole del ragazzo dipende dalle diverse aspettative sul tirocinio. In pochi mesi Jacob vorrebbe imparare la ceramica etnica… ma anche conoscere il mare e le spiagge della Sardegna. Perciò Aurora cerca di assecondarlo, organizzando il suo apprendimento in modo elastico e non troppo impegnativo.

  • Quando parla con l’insegnante di antropologia, un’Aurora efficiente e attiva si sostituisce alla tutor di Jacob e propone un corso altamente specializzato e intenso che renda in pochi mesi una preparazione adeguata sia nella teoria che nella pratica.

  • Quando poi rientra a casa, l’Aurora innamorata occupa il posto delle altre due e progetta vacanze e momenti magici da trascorrere in coppia, per far crescere l’intimità e la condivisione di un progetto di vita insieme.

E fino a qui di Aurora ce ne sono solo tre!

  • C’è poi un’Aurora che vorrebbe andare ogni tanto a trovare i genitori…

  • Un’Aurora che ama uscire insieme alle amiche…

  • Un’Aurora che sogna di avere un bambino…

  • Un’Aurora che ha bisogno di leggere e viaggiare per aggiornarsi sul suo lavoro con la ceramica etnica…

  • Un’Aurora che sta cercando di riordinare gli appunti per dare forma alla pubblicazione di un libro…

  • Un’Aurora (ma questa è completamente schiacciata dal peso delle altre) che ama passeggiare in mezzo alla natura senza doversi preoccupare di niente…

Nel corso di colloqui Aurora diventerà più consapevole delle sue poliedriche possibilità di espressione e riuscirà ad armonizzare le diverse “se stessa” fino a trovare un nuovo equilibrio interiore più rispettoso delle sue personali esigenze e priorità.

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