domenica 28 agosto 2011

d : poesia



“Non piangere per lettera
non dire che sei stata presa a calci dalla sorte
nessuna situazione al mondo è senza uscita
quando Dio chiude una porta - apre una finestra”
E’ un leggere dentro con grande empatia le debolezze, le paure che abitano l’anima della persona che egli ha di fronte; la sua poesia arriva come conforto:
“piccole e grandi infelicità indispensabili per la felicità
tu dalle cose semplici impara la serenità
e dimentica che esisti quando dici che ami”.

Le sue poesie sembrano nascere dallo sguardo ingenuo e puro di un bambino curioso, che si perde con la mente nell’ammirare il mondo. La sua sensibilità si espande fino ad arrivare ad interagire con la natura e le sue creature, ma è anche un entrare in contatto, e dunque prendere coscienza, con le paure e i drammi che attraversano il mondo interiore di ognuno di noi.

app/Arte


Nona edizione di Tocatì, Festival Internazionale dei Giochi in Strada, organizzato dall'Associazione Giochi Antichi in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Verona.
Oltre agli spettacolari giochi tradizionali provenienti da vari Paesi del mondo, il Festival presenterà almeno un gioco tradizionale per regione italiana, in occasione del 150° anniversario dell’Unità nazionale. Gruppi di giocatori appassionati, che vengono a condividere le tradizioni e gli antichi gesti ludici del loro territorio e a raccontare le loro abitudini e la loro storia, proporranno circa 50 giochi nelle vie e nelle piazze di una delle più belle città del mondo.

Tocatì, Festival Internazionale 
dei Giochi in Strada
nona edizione - 23, 24, 25 settembre 2011
verona, centro storico




venerdì 26 agosto 2011

VERGOGNA


Ali Ferzat pestato a sangue dagli agenti dei servizi di sicurezza. «Deve smettere di disegnare»


Aveva disegnato Assad che faceva l'autostop con Gheddafi e altre vignette satiriche anti regime. Lo hanno pestato a sangue e gli hanno spezzato le mani.
Così gli agenti dei servizi di sicurezza di Damasco hanno dato una lezione al celebre vignettista siriano Ali Ferzat per ridurlo al silenzio. Gli hanno detto, ha riferito un familiare dell'artista, che si è trattato «solo di un avvertimento» e gli hanno ordinato di smettere di disegnare.
Il disegnatore ha un sito dove pubblica i suoi disegni che ieri è stato a tratti oscurato.



Mario Giacomelli



"Io non so cosa hanno gli altri. Io ho una macchina che ho fatto fabbricare, una cosa tutta legata con lo scotch, che perde i pezzi. Per me l'importante è che ci sia la distanza e - cosa c'è d'altro ?"

Nato a Senigallia, l'1 agosto 1925. A tredici anni, entra come apprendista in una piccola tipografia di Senigallia, della quale diventerà (e resta) proprietario. Dapprima pittore e poeta dilettante. Dal 1954 fotografo autodidatta. Morto a Senigallia, 2000.

"Perché mi sembra sempre che qualche cosa stia per nascere, che qualche cosa di diverso stia per avverarsi. Il luogo dove le cose accadono non è così importante, un luogo vale l'altro. Mi dicono: come fai a fare queste fotografie ? Ma non tengono conto che sono le immagini che scelgono me, non io che scelgo loro. Come se il paesaggio mi dicesse :"ma tu sei tonto, credi che sei tu che fai i paesaggi ? non vedi quanto son bello ?" Ci sono delle immagini che ti bloccano loro, e tu cerchi di capirle, però sono loro che vengono da te, come gli sguardi delle donne. Tu dici : "quanto è bella questa !" e se lei ti dà l'occhio più dolce, se vedi che si presta, tu dici : "Madonna ! forse io riesco anche a baciarla". Il paesaggio è uguale, tu lo vedi e dici : "Madonna !". Il paesaggio non scappa, ma io ho sempre paura che resti lì solo per un attimo, lo faccio col cavalletto, perché faccio "due e ventidue", devo sempre ricordarmi i numeri perché non capisco mai, con "due e ventidue" ci vuole per forza il cavalletto, allora ho sempre paura che mi scappi, continuo a guardare mentre sposto il cavalletto, trattengo il fiato, io quando fotografo non respiro, mi blocco e scatto, quella per me è la gioia più bella, come se avessi spogliato le più belle donne del mondo. Quando loro si lasciano spogliare. Se son riuscito a fotografarle vuol dire che è andata bene. Se no, si dirà che le ho sognate, e basta."

mercoledì 24 agosto 2011

Auguri J. L. Borges


Il gran mattino reca l'illusione di un inizio.

È noto che in Irlanda un uomo disse che l'attenzione di Dio, che mai dorme, raccoglie eternamente ogni sogno, ogni vuoto giardino e ogni lacrima. Continua il dubbio e la penombra cresce. Se sapessi che è stato di quel sogno che sognai, o che sogno aver sognato, saprei tutte le cose.

Ho commesso il peggiore peccato che si possa commettere. Non sono stato felice.

Un buon lettore è raro quanto un bravo scrittore.

Un tempo m'interessò la teologia ma da tale fantastica disciplina (e dalla fede cristiana) mi sviò per sempre Schopenhauer, con ragioni dirette, Shakespeare e Brahms, con l'infinita varietà del loro mondo.






lunedì 22 agosto 2011

Nascette mmiez’o mare


Lo Guarracino: incanto della biodiversità marina nel Golfo di Napoli

Lo guarracino è una celebre canzone in lingua napoletana la più antica tarantella risalente alla fine del ‘700 di autore ignoto ed ha da sempre attirato l’interesse degli studiosi per la variegata biodiversità descritta racchiusa all’interno del testo
Al primo ascolto ciò che colpisce sono i versi: un susseguirsi incalzante di suoni vivaci e ritmati, allitterazioni e onomatopee a sfondo marino.
Definita dal filosofo Croce “una singolare fantasia capricciosa e graziosa e di un brio indiavolato”
Le diciannove strofe, infatti, costituiscono una vera e propria epopea del mare in cui si esaltano tutte le specie ittiche del Golfo di Napoli.
La storia narra della rivalità in amore di due pesci, il Guarracino (castagnola) e l’Alletterato (tonnetto), entrambi innamorati della bella Sardella (sardina).

Nell’amorosa tenzone intervengono amici e parenti dei due partiti e sotto la superficie del mare scoppia una colossale zuffa.
Cinque vivacissime strofe ne descrivono il tafferuglio e ivi vengono nominate ben settantadue specie ittiche, tra pesci, molluschi, crostacei e mammiferi marini.
Il guarracino, in italiano altri non è che la castagnola nera

Lo guarracino e’ oramai riconosciuta come la prima tarantella della storia della canzone partenopea.
«Nascette mmiez’o mare» di Concetta Barra, registrato nel 1974)

Lo guarracino che jeva p’o mare
jeva truvanno ‘e se nzorà
e se facette nu bello vestito
‘e squame ‘e pesce pulito pulito
visitanno fosse e pertose
se ncuntraje c’a zia vavosa
là pe là le facette ‘a mmasciata
e ‘o matrimonio fuje cumbinato

P’o spusalizio ce fuje mmitato
‘o scuorfano ‘o ciefalo e ‘o pesce spada
alici e sarde a meliune
anguille murene e capitune
merluzze spinule e purpetielle
treglie mazzune e cecenielle
aurate dentece e calamare
e ‘o delfino facette ‘o cumpare.

sabato 20 agosto 2011

....aria...







SCUSATE IO SONO UN ORSO


Un giorno un orso si svegliò dal letargo e invece della solita natura selvaggia si trovò intorno le ciminiere di una fabbrica, con un caporeparto che lo sgridava scambiandolo per lavativo assenteista. L'animalone cercò di spiegare gentile che lui non lavorava perchè era un orso . Niente da fare , arrogante capetto ringhiò: " tu non sei un orso sei un babbeo con un cappotto di pelliccia e la barba da tagliare in cerca di scuse per sottrarsi alla catena do montaggio ".....
Questa magnifica favoletta Kafkiana è un graphic novel dal titolo "L'orso che non lo era." scritta e disagnata da Frank Tashlin ( già collaboratore dei fratelli Mark e Jerry Lewis ). Si legge in meno di mezz'ora ma ristora per molto di più, se non riusciamo a capire se siamo orsi smarriti o babbei da spennare per placare questa strana estate, l'importante è di sapere di essere orsi, e andare in letargo quando serve.
( Tratto da un articolo di Bruno Ventavoli)

Ricorda Charlie Chaplin nel celebre “Tempi moderni”, parla di identità, di sfruttamento, di
sopraffazione, con garbo, con gentilezza, una metafora dell’oppressione delle minoranze, che il capitalismo ha operato su intere popolazioni, solo perché diverse.




venerdì 19 agosto 2011

Lester Lee Po Fun



Con la mia fotocamera, posso fermare il tempo”. Lester Lee Po Fun è un fotografo cinese noto per fotografie di nudi femminili.



Le sua opera mostra uno stile che mescola le influenze europee con il patrimonio culturale asiatico. Ritrae la bellezza in immagini accattivanti di fascino e in pose plastiche. Elegante e fiera la nudità, ora rievoca icone del classicismo, ora mediante un approccio più concettuale che non disdegna la tecnica delle lunghe esposizioni o del montaggio. Non una rappresentazione freddamente oggettiva del corpo, ma sensazioni ed emozioni, che oltre a cogliere l’alto potenziale erotico, ricercano l’armonia delle linee con grande senso della composizione e dei chiaroscuri.






giovedì 18 agosto 2011

d : foto




Sergio Andreozzi, 34 anni, ingegnere informatico all’Istituto nazionale di fisica nucleare di Bologna, è della provincia di Macerata. Ha “catturato” questa immagine a Jaipur, capitale del Rajasthan, in India, mentre passeggiava per strada. Nella fotografia prevale l’equilibrio dei colori, l’armonia della composizione e l’atteggiamento diverso delle tre donne. La prima osserva dalla penombra conferendo alla scena un alone di mistero, la seconda “salta” da una finestra all’altra dando il senso dell’azione, e la terza, ricordandole l’ogetto dimenticato, dà alla scena un tocco di ironia. “Era anche una situazione rischiosa”, racconta Andreozzi. “Le finestre erano al secondo piano, e sotto c’era il vuoto…”





Jan Saudek



Jan Saudek è considerato dalla critica uno dei più grandi autori viventi a livello internazionale.Ossessionato dal tempo, dall'invecchiamento , dalla perdita della bellezza, Saudek si mette a nudo fino a far sanguinare il suo intimo. Lucido, impulsivo, eccessivo ha infuso la sua anima nelle sue opere che esprimono l'impossibilita' della felicita' nel segreto della famiglia umana. Creatore underground a lungo condannato alla marginalita' dalle autorita', politiche e di altro genere, Saudek e' ormai riconosciuto non solamente come un mostro sacro emblematico della sfida ceca, ma come un artista che pienamente ha il suo posto nella storia sempre piu' apprezzata della fotografia.


Le carni esposte al suo occhio e pennello sono oscenizzazione di corpi fastidiosi ed imperfetti, resi unici e straordinari dal quel tocco di bellezza malinconica che solo l'arte ctonia sa dare. Sara Saudek dal canto suo, ci racconta delle infinite declinazioni di un femminile impossibile da arginare e restringere con paletti moralizzanti e interpretativi.





If you like it, thank you


Paola Pivi, Leone d'oro alla Biennale di Venezia del 1999, nasce a Milano nel 1971, ed è una delle artiste italiane più esportate, i suoi lavori sembrano prendere forza dall'immobilismo italiano, dallo stato confusionale in cui si ritrova lo stato dell'arte del nostro paese.
L’artista presenta attraverso grandi fotografie, situazioni in cui persone, oggetti, animali, sono colti in situazioni surreali, matrice concettuale duchampiana.




"If you like it, thank you. If you don't like it, I am sorry. Enjoy anyway". Titolo di uno dei suoi lavori più importanti.
La Pivi attualmente è impegnata nel progetto di fotografare in scala 1:1 gli oltre 2 km dell’isola di Alicudi dove vive quando non è a Londra.







martedì 16 agosto 2011

Federico Scianna


"Io dico spesso che il sole m’interessa perché fa ombra. L’ombra non è soltanto il momento dialettico rispetto alla luce, è anche un momento psicologico rispetto allo splendore. C’è lo splendore e c’è il dolore. Nella mia maniera, anche nelle mie stampe, è come se le forme venissero fuori dal nero."


Federico Scianna ,fotoreporter, corrispondente e inviato speciale, primo italiano a entrare nello straordinario gruppo di fotografi membri dell'agenzia Magnum Photos, uno dei fotografi italiani più conosciuti e quotati.


domenica 14 agosto 2011

A FERRAGOSTO



"Non le è mai capitato di sentirsi sola, davvero sola, cioè sola con l'assoluta certezza, la certezza fatta sangue e respiro, che non ci sia nessuno in tutto il mondo, in tutto l'universo che le voglia bene? Nessuno che abbia voglia di guardarla e guardandola la carezzi con gli occhi? Sotto il sole incandescente del ferragosto, in un anonimo caseggiato di città, con le tapparelle abbassate e in un bagno di sudore, una persona è là, davanti al telefono: c'è una speranza residua, quella che qualcuno si ricordi di lei e faccia uno squillo. E invece il telefono, il campanello di casa, le stesse vie deserte tacciono. Forse in questa scena si riconosce anche qualche nostro lettore: è un anziano o un malato o uno straniero o semplicemente uno che ha perso tutti o è dimenticato da tutti. Nessuno lo chiamerà né oggi né domani. Nessuno avrà un fremito d'amore; nessuno stenderà una mano per fargli una carezza. È, questa, anche la scena che regge uno dei bellissimi, intensi, dolenti racconti della raccolta E nessuno si accorse che mancava una stella di Antonio Debenedetti (Bur 2009): un vecchio, Osvaldo, che ha appena perso sua moglie, in un agosto infuocato, sente il peso insopportabile della solitudine e allora scrive una lettera-confessione alla giornalista che tiene la rubrica La posta di un giornale. È quasi un estremo SOS che, però, è votato al silenzio e a un esito di desolazione immensa: «Una volta finito di scrivere, il vecchio guarda la lettera senza rileggerla. Poi la strappa e scoppia in lunghi singhiozzi senza lacrime, dal suono simile al latrare di un cane». Non ho considerazioni oggi da proporre: lascio solo che i miei lettori immaginino quella scena e provino un brivido che attraversi la loro festa, la compagnia degli altri, il pranzo. E forse prendano in mano il telefono per dire poche parole a una persona che è come Osvaldo."
Gianfranco Ravasi

venerdì 12 agosto 2011

Buon Ferragosto!




ContaminArte augura ai propri lettori un buon ferragosto.

mercoledì 10 agosto 2011

...PhoTO...


Diventiamo quello che vediamo. Noi diamo forma ai nostri strumenti e da lì in poi i nostri strumenti danno forma a noi.
-- Marshall McLuhan



L'albero d’ascolto di Alex Metcalf. Alimentato da energia solare, un dispositivo collega il tronco d’albero ad un amplificatore e a delle cuffie che pendono dai rami (a Londra ne hanno installati diversi). Attraverso queste è possibile ascoltare il rumore dell’acqua che passa attraverso le cellule ed ogni suono prodotto dal movimento dell’albero.





Tutto il casino...o quasi


BEAT È IL VIAGGIO DANTESCO IL BEAT È CRISTO IL BEAT È IVAN IL BEAT È QUALUNQUE UOMO QUALUNQUE UOMO CHE ROMPA IL SENTIERO STABILITO PER SEGUIRE IL SENTIERO DESTINATO
g. corso



Tutto il casino...o quasi

Salii sei piani di scale
fino alla mia piccola stanza ammobiliata
e, aperta la finestra,
cominciai a buttare fuori
le cose più importanti della mia vita.
La prima ad uscire fu Verità
che minacciava di spifferare tutto:
"Non farlo! So certe cose sul tuo conto...!"
"Ah sì? Non ho niente da nascondere...FUORI!"
Dopo toccò a Dio che stupefatto piagnucolava:
"Non è colpa mia! Non sono la causa di tutto!" "FUORI!!
Poi Amore, che tentava così di sedurmi:
"Se mi risparmi ignorerai l'impotenza!
Tutte le ragazze di Vogue saranno tue!"
Spinsi il suo grasso culo fuori dalla finestra
e gridai: "Con te va sempre tutto a rotoli!"
Quindi presi Fede Speranza Carità
che si aggrappavano l'una all'altra:
"Senza di noi non puoi vivere!", dicevano
"Sì, ma con voi finisco al manicomio! Ciao Ciao!"
Quindi fu il turno di Bellezza... ah, Bellezza!
Giunti alla finestra le dissi:
"Tu sei quella che ho amato di più
... ma sei un'assassina; Bellezza uccide!"
In realtà non volevo farla cadere:
scesi giù di corsa
e arrivai giusto in tempo per riprenderla.
"Mi hai salvato!" sospirò
La misi giù e le dissi "Su, muoviti."

Risalii i sei piani di scale
e andai a cercare i soldi
ma non c'erano soldi da buttare via.
Dopo avere setacciato la stanza
trovai solo Morte che si nascondeva sotto il lavandino:
"Non sono vera!" gridava
"Sono solo una diceria messa in giro dalla vita..."
Ridendo li buttai fuori: lei, il lavandino e tutto
e improvvisamente mi accorsi che Humour
era l'unica cosa ad essere rimasta dentro--
E a Humour non potevo far altro che dire
"Fuori dalla finestra con la finestra!"
g. corso




insolente al di là del sopportabile e strafottente nella più assoluta imprevedibilità qualunque cosa abbia detto o scritto ha sempre rivelato il dono di non dire mai una sciocchezza”.
Fernanda Pivano

martedì 9 agosto 2011

SORRISI DI PLASTICA


Diventiamo quello che vediamo. Noi diamo forma ai nostri strumenti e da lì in poi i nostri strumenti danno forma a noi.
Marshall McLuhan


"Communication Prosthesis" di Sascha Nordmeyer, in mostra «Talk to me» al Moma di NY fino al 7 novembre 2011.

Con molta ironia e originalità le Protesi di Sascha Nordmeyer ci fanno riflettere sullo stato della comunicazione tra esseri umani, si tratta di sorrisi di plastica che coprono le labbra ed espongono le gengive in un sorriso forzato, per aiutare le persone socialmente imbarazzate.

Come le innovazioni nel design della comunicazione stanno trasformando la nostra vita?

La comunicazione è la forza dominante nel design, e questo non è un dettaglio di poco conto.

Se gli oggetti hanno sempre parlato alle persone, talvolta apertamente, altre in modo sottile, emotivo, o subliminale, oggi il problema è far sì che le “cose”, comunichino il loro significato.



domenica 7 agosto 2011

Aiuto



Gli aiuti dell’Occidente ai Paesi in via di sviluppo, basati su principi puramente tecnico-materiali, che non solo hanno lasciato da parte Dio, ma hanno anche allontanato gli uomini da Lui con l’orgoglio della loro saccenteria, hanno fatto del Terzo Mondo il terzo mondo in senso moderno. Tali aiuti hanno messo da parte le strutture religiose, morali e sociali esistenti e introdotto la loro mentalità tecnicicstica nel vuoto. Credevano di poter trasformare le pietre in pane, ma hanno dato pietre al posto del pane. E’ in gioco il primato di Dio. Si tratta di riconoscerlo come realtà, una realtà senza la quale nient’altro può essere buono. Non si può governare la storia con mere strutture materiali, prescindendo da Dio. Se il cuore dell’uomo non è buono, allora nessuna cosa può diventare buona. E la bontà di cuore può venire solo da Colui che è Egli stesso la bontà, il bene.

Joseph Ratzinger
Benedetto XVI
(“Gesù di Nazaret”, Vol I)







S.O.S. Corno d' Africa

Per non restare indifferenti a questa immane catastrofe:

...PhoTO...


Amanda Hanson circondata da parti del corpo meccaniche nel suo garage nei dintorni di Dallas, dove suo marito David crea androidi iperrealistici in grado di parlare, tra cui uno identico alla stessa Amanda. Sul tavolo ci sono i pezzi di un robot cantante, frutto di una collaborazione con il musicista David Byrne, e la testa di un androide che emula il grande scrittore di fantascienza Philip K. Dick.
Se non si potrà stabilire la differenza, avrà un senso chiedersi se si ha di fronte un robot o un umano?

venerdì 5 agosto 2011

Nello straordinario di Elliott Erwitt


«Non mi definirei in alcun modo. Non mi sveglio al mattino pensando che sarò spiritoso. Preferisco essere più divertente che tragico. È un fatto inconscio. Se poi capita che ciò che faccio sia divertente anche per altri la cosa mi fa piacere». E ancora: «Per me la fotografia è un’arte dell’osservazione. Si tratta di trovare qualcosa di interessante in un luogo ordinario. Ho scoperto che ciò ha poco a che fare con le cose che osservi e tutto a che fare con il modo in cui tu le vedi».


Elliott Erwitt, (Parigi, 26 luglio 1928).
Le sue foto colpiscono per la capacità di guardare il mondo con leggerezza, con l’irriverente innocenza di un bambino e mantenendo al contempo il disincanto dell’uomo di mondo, indulgente quanto basta e sarcastico quando necessario. L’ironia, la capacità di saper trovare i lati più buffi e surreali di situazioni pur drammatiche. Oppure di crearne le condizioni. Come accade nei famosi scatti dedicati ai cani, i quali sembrano prestarsi al suo simpatico gioco che mette gli uomini ai margini, dando origine a uno dei suoi lavori più celebri Dog, dogs, in cui la satira sociale si fonde con una sorta di iperbole della condizione canina.

La passione per il lavoro e la curiosità del cronista hanno portato Erwitt non solo a contatto con i grandi del suo tempo, ma anche con le persone comuni e con la vita delle grandi metropoli.






«Non mi interessano i paesaggi ma la gente. Voglio — ha dichiarato — che la gente reagisca alle mie foto emotivamente e non cerebralmente. Non mi importa se dopo le mie foto vengono analizzate, ma voglio che prima ci sia un contatto emotivo».

A Merano fino al 25 settembre 2011

Jim Dine



Uno dei grandi protagonisti dell'arte americana degli anni Sessanta, pioniere della performing art, poi esponente della Pop Art, poi adepto dell'American New Realism, poi Espressionista. L'artista fu attivo nel periodo del materialismo sfrenato della cultura americana. Ben radicato in un'attualità in fermento e in completa rivoluzione, opera con l'intento di esternare i messaggi più essenziali e intimi della vita, servendosi dell'ausilio di diverse tecniche compositive, da dipinti a olio e acrilico a sculture in bronzo e legno.




In particolare, si ricorda l'attaccamento dell'artista alla figura di Pinocchio, di cui in mostra si ammira una scultura dal titolo Pinocchio, The Grey Shirt (Böras), e del quale lo stesso Dine afferma: "L'idea di un pezzo di legno che parla e che diventa un ragazzo in carne ed ossa è una metafora dell'arte, è l'estrema trasformazione alchemica".


Altro soggetto fondamentale in questa fase del percorso artistico di Jim Dine è quello della vestaglia che viene usata come contrappunto all'icona femminile di Venere, emblema della vita e della fertilità (anch'essa rappresentata in mostra da alcune sculture, come The Solo Venus e Night in the Room). L'indumento maschile diventa simbolo della sicurezza mascolina e riflesso della sua immagine di artista, nel consapevole tentativo di crearsi un'identità personale ed esistenziale al tempo stesso.



Fino al 24 settembre alla galleria Agnellini Arte Moderna ,Brescia .