venerdì 5 agosto 2011

Nello straordinario di Elliott Erwitt


«Non mi definirei in alcun modo. Non mi sveglio al mattino pensando che sarò spiritoso. Preferisco essere più divertente che tragico. È un fatto inconscio. Se poi capita che ciò che faccio sia divertente anche per altri la cosa mi fa piacere». E ancora: «Per me la fotografia è un’arte dell’osservazione. Si tratta di trovare qualcosa di interessante in un luogo ordinario. Ho scoperto che ciò ha poco a che fare con le cose che osservi e tutto a che fare con il modo in cui tu le vedi».


Elliott Erwitt, (Parigi, 26 luglio 1928).
Le sue foto colpiscono per la capacità di guardare il mondo con leggerezza, con l’irriverente innocenza di un bambino e mantenendo al contempo il disincanto dell’uomo di mondo, indulgente quanto basta e sarcastico quando necessario. L’ironia, la capacità di saper trovare i lati più buffi e surreali di situazioni pur drammatiche. Oppure di crearne le condizioni. Come accade nei famosi scatti dedicati ai cani, i quali sembrano prestarsi al suo simpatico gioco che mette gli uomini ai margini, dando origine a uno dei suoi lavori più celebri Dog, dogs, in cui la satira sociale si fonde con una sorta di iperbole della condizione canina.

La passione per il lavoro e la curiosità del cronista hanno portato Erwitt non solo a contatto con i grandi del suo tempo, ma anche con le persone comuni e con la vita delle grandi metropoli.






«Non mi interessano i paesaggi ma la gente. Voglio — ha dichiarato — che la gente reagisca alle mie foto emotivamente e non cerebralmente. Non mi importa se dopo le mie foto vengono analizzate, ma voglio che prima ci sia un contatto emotivo».

A Merano fino al 25 settembre 2011

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