venerdì 26 agosto 2011

Mario Giacomelli



"Io non so cosa hanno gli altri. Io ho una macchina che ho fatto fabbricare, una cosa tutta legata con lo scotch, che perde i pezzi. Per me l'importante è che ci sia la distanza e - cosa c'è d'altro ?"

Nato a Senigallia, l'1 agosto 1925. A tredici anni, entra come apprendista in una piccola tipografia di Senigallia, della quale diventerà (e resta) proprietario. Dapprima pittore e poeta dilettante. Dal 1954 fotografo autodidatta. Morto a Senigallia, 2000.

"Perché mi sembra sempre che qualche cosa stia per nascere, che qualche cosa di diverso stia per avverarsi. Il luogo dove le cose accadono non è così importante, un luogo vale l'altro. Mi dicono: come fai a fare queste fotografie ? Ma non tengono conto che sono le immagini che scelgono me, non io che scelgo loro. Come se il paesaggio mi dicesse :"ma tu sei tonto, credi che sei tu che fai i paesaggi ? non vedi quanto son bello ?" Ci sono delle immagini che ti bloccano loro, e tu cerchi di capirle, però sono loro che vengono da te, come gli sguardi delle donne. Tu dici : "quanto è bella questa !" e se lei ti dà l'occhio più dolce, se vedi che si presta, tu dici : "Madonna ! forse io riesco anche a baciarla". Il paesaggio è uguale, tu lo vedi e dici : "Madonna !". Il paesaggio non scappa, ma io ho sempre paura che resti lì solo per un attimo, lo faccio col cavalletto, perché faccio "due e ventidue", devo sempre ricordarmi i numeri perché non capisco mai, con "due e ventidue" ci vuole per forza il cavalletto, allora ho sempre paura che mi scappi, continuo a guardare mentre sposto il cavalletto, trattengo il fiato, io quando fotografo non respiro, mi blocco e scatto, quella per me è la gioia più bella, come se avessi spogliato le più belle donne del mondo. Quando loro si lasciano spogliare. Se son riuscito a fotografarle vuol dire che è andata bene. Se no, si dirà che le ho sognate, e basta."

Nessun commento:

Posta un commento