"L'esteta etnico è permanentemente folle. Direi addirittura che un esteta etnico savio è una tragedia, perché incapace di accedere al privilegio concesso solo ai folli. L'esteta etnico decentrato è il più grande incubo della categorizzazione storica: ciò che è essenzialmente astorico rifiuta la storia. Un vero esteta degenerato deve oltrepassare i confini, deve camminare su un territorio proibito. Il degenerato etnico deve disubbidire, ma la sua disobbedienza non deve essere mai degenerata, deve restare costantemente dignitosa. Il degnato etnico deve abbigliarsi per impressionare, il dandismo per il degenerato è tutt'altro che frivolo, è un modo di prendersi la propria libertà. L'esteta etnico deve avere un'eleganza che si impone, perché questo è un affronto allo status quo. Il piacere nel vestire è il gesto più assertivo che possa essere fatto dal già degenerato. Un degenerato che presta attenzione all'abbigliamento mette in atto una provocazione imperdonabilmente gloriosa. Come dice Oscar Wilde: il dandismo è l'affermazione dell'assoluta modernità della bellezza". Yinka Shonibare
Yinka Shonibare, (1962) di origini africane, ma nato in Inghilterra, ha ritrovato in questo paese le stesse difficoltà dei suoi connazionali emigrati alla ricerca di una vita che ai loro occhi appare migliore.
La diversità di Shonibare, di idee, di concetti e di passioni, appare agli occhi come la mostruosità fisica,
creando scandalo, egli ottiene un'accettazione in qualità di artista ch'egli non ammette mai come propria, continuando a deridere ironicamente il pubblico, approfittando implicitamente del suo ruolo di artista che, nella società moderna, rimane pur sempre un outsider, proiettato verso un estetismo artistico subordinato alla ricerca della bellezza dell'oggetto in sé e in secondo luogo il loro significato allegorico.
L'efficacia dei suoi lavori è affidata a messaggi più raffinati, atti a penetrare e sovvertire, come la seduzione, lo humour, la parodia. Offrendone una replica cambiata di segno, Shonibare rovescia le strutture dominanti dall'interno. Il bisogno di sovvertire, di ribellione dissacratoria e tagliente, di questo artista si palesa nella serie di tableaux fotografici intitolata "Diario di un Dandy Vittoriano" (1998) in cui egli stesso, con una formidabile mescolanza di precisione e ironia, interpreta il personaggio principale della messa in scena, ispirata al ciclo di quadri di William Hogart "La carriera di un libertino" (1732-33). Nei panni della figura iconoclasta del dandy nero, l'artista troneggia al centro di ogni immagine, magnifico e sprezzante, circondato da uomini e donne in costume che, con espressioni enfatiche e gesti esageratamente teatrali, si mostrano vittime del suo fascino.
"Shonibare mette in questione le gerarchie visuali a cui siamo mentalmente abituati, ed emenda la tradizione 'alta' della cultura occidentale in cui la figura del nero è praticamente assente, oppure è usata come elemento pittoresco, come 'trofeo', sempre comunque in ruoli subalterni" (Cristina Perrella).
La provocazione, lo scandalo sottile, raggiunge il culmine della perfezione estetica, del godimento visivo nelle sue installazioni con manichini decapitati abbigliati con costumi tipicamente settecenteschi, ma riprodotti con stoffe a stampe batik, tipicamente africane. Shonibare ripropone i celebri capolavori del periodo (sono citati esplicitamente artisti come Gainsborough, Fragonard, Hogart), in tre dimensioni, tra trine, pizzi, volant, bagliori dorati, creando ironici cortocircuiti spazio-temporali grazie a dettagli come una stoffa il cui motivo ripete il marchio di Chanel, anche se la testa mancante dei manichini pare ricordare con macabro umorismo che di lì a poco la rivoluzione verrà ad interrompere violentemente la calma di quell'idillio aristocratico di lusso e voluttà.
"In tutte le culture gli abiti rappresentano lo spazio deputato per un complesso circuito di forme d'identità, un involucro che cerca di rendere visibile un sistema di desiderii e di aspirazioni, sensoriali e spirituali.Attraverso il modo di vestire si esprime pubblicamente la propria classe sociale, la propria appartenenza etnica, la propria sessualità, ma si dà anche corpo alle proprie fantasie su ciò che si vorrebbe essere" (C. Perrella).
"L'eccesso è il solo mezzo di sovversione legittimo: rifiuta la povertà e la povertà rifiuterà te. L'ibridizzazione è una forma di disobbedienza, una disobbedienza parassitaria rispetto alla specie ospite, una forma eccessiva di libido, è sesso gioioso. L'unica disobbedienza consentita consiste nell'impossibilità di obbedire a tutti, il produrre un oggetto d'arte che, proprio in virtù delle sue stesse ambivalenze, nega ogni nozione di lealtà. Vorrei produrre il fantastico, cerco di raggiungere l'estasi. Desidero ardentemente il godimento, il mio desiderio di una bellezza radicale mi provoca un genere di dolore che mi colpisce fino in fondo all'anima". Yinka Shonibare
fonte : http://www.inafrica.it
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