lunedì 26 dicembre 2011

…corde oblique….

La critica ha parlato davvero bene di questo cd, l’ultimo della produzione di Riccardo Prencipe e le sue Corde Oblique, ed era tempo che anche Slowcult se ne occupasse con un ascolto approfondito. E meritato, diciamolo subito, ché A hail of bitter almonds è di certo un prodotto di grande talento e raffinatezza musicale. Prencipe è alla sua sesta prova, nonostante la sua giovane età, la quarta con Corde Oblique dopo aver inciso i suoi due primi cd con il gruppo Lupercalia già nel 2000 e nel 2004. Partenopeo e coltissimo (storico dell’arte), il Maestro Prencipe cura l’aspetto compositivo dalla musica ai testi, passando per gli arrangiamenti e per la scelta dei collaboratori che contribuiscono a dare suoni molto particolari e riconoscibili alla sua musica, e momenti molto originali come il flauto di pan suonato sulla sesta traccia, Slide.
L’etichetta di genere, “Ethereal-NeoFolk”, dice abbastanza poco, come spesso accade, su quindici brani molto diversi tra loro che si dispiegano come una sinfonia, con momenti dal maestoso all’intimo, dove le voci (quelle femminili soprattutto) e un violino elegantissimo, legano a sé suoni diversi e mai campionati in un affresco che alla fine produce effetti acustici rock più vicini al prog che al folk, seppure la coloritura folcloristica e mediterranea resta sempre viva e forte, ampliando molto la potenza espressiva e la portata graffiante di alcune tracce, come ad esempio in Arpe di Vento, oppure nel cantato popolare di La madre che non c’è e La pietra bianca, o nell’arrangiamento flamenco di Crypta Neapolitana dove si apprezza forse al meglio l’arpeggio sopraffino di Riccardo Prencipe.
In tutto questo, non si perde mai il rock – salvo in un paio di pezzi a mio avviso troppo melodici, uno dei quali scelto (ahimè) per il video ufficiale – che rendono questo album assolutamente trasversale.
E se questo cd non piacesse comunque, varrebbe in ogni caso il prezzo del biglietto la strepitosa cover di Jigsaw falling into place dei Radiohead: che l’adorato Thom Yorke non mi fulmini, ma questa versione ha una potenza, una spinta addominale e diaframmatica che nell’originale manca; è un pezzo che entra nelle vene e resta attaccato alle viscere.
Spiace dirlo, ma questo lavoro meriterebbe una scena musicale live ben più ricca e sprovincializzata di quella italiana, e infatti il gruppo ha esperienze interessanti di live europei.

tratto da: www.slowcult.com

Nessun commento:

Posta un commento