giovedì 7 luglio 2011

Le figlie perdute della Cina


Una donna è come un sasso levigato e arrotondato dall’acqua e dal tempo. Il nostro aspetto esteriore viene modificato dal destino che ci è stato assegnato nella vita, ma niente può cambiare il cuore di una donna e il suo istinto di madre.
Xue Xinran


Una struggente inchiesta della scrittrice cinese Xue Xinran sulla “sparizione” di migliaia e migliaia di bambine in Cina, complici le ciniche politiche demografiche del regime politico.
Svela e racconta uno degli aspetti più terribili della cultura cinese, il fenomeno dell’abbandono, e in altri casi dell’uccisione, delle figlie femmine. I motivi principali che la giornalista individua già nell’introduzione sono tre: un sistema di distribuzione della terra che è rimasto immutato da più di duemila anni, e per il quale solo attraverso i figli maschi si può ottenere vantaggi; l’ignoranza in materia sessuale combinata al boom economico; infine, altrettanto importante, la politica del figlio unico, introdotta all’inizio degli anni Ottanta con lo scopo di controllare l’enorme esplosione demografica cinese.
Alla sofferenza delle madri, e al loro senso di colpa, fa da sfondo una realtà economica e sociale spaventosa, di cui l’occidente quasi nulla ha voluto sapere. Quella delle campagne cinesi, dove, ancora negli anni Ottanta e Novanta, la fame era uno spettro reale e nutrirsi un’impresa. Quello di orfanotrofi provvisori e senza né cibo né personale. Quella di un apparato statale indifferente al vissuto delle persone, fatto di burocrati, medici, levatrici che, pur non capendo, non osavano contravvenire alle regole e alla pesantissima censura.


Sembra un discorso antico, ci si chiede come possano esistere nel 2011 certi scenari, eppure in Cina (come in altre parti del mondo) i diritti delle donne sono ancora ignorati e calpestati.


Xue Xinran, Le figlie perdute della Cina, Longanesi 2011



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