Nel corso dei colloqui psicologici, i pazienti raccontano spesso una sofferenza apparentemente ingiustificata. Parlano di un dolore che si aggiunge e aggrava il dolore considerato “normale”, quello cioè che, inevitabilmente, s’incontra durante la vita. E incolpano di quel dolore “aggiunto” la propria sensibilità, il loro modo di amare.
Questa emotività A-normale costituisce ai loro occhi un fardello inutile ma, a volte, tanto pesante da non riuscire più a muoversi.
UN NORMALE ATTACCO DI PANICO
E’ quello che da un po’ di tempo capita a Laura.
Laura che non esce più da casa e che, per venire in terapia, deve essere sempre accompagnata da qualcuno.
Una ragazza alta, bella e slanciata, consumata dagli attacchi di panico.
Non molto tempo fa era attiva, indipendente, piena d’interessi e di entusiasmo. Oggi è ridotta a una dipendenza dagli altri quasi totale.
Anche lei mi racconta la stessa insopportabile sensibilità.
“Mi commuovo sempre, anche quando non sarebbe opportuno! A casa mi chiamano lacrimuccia…” stringe i pugni, arrabbiata con se stessa e con quell’emotività che la rende oggetto di scherno da parte delle persone a cui vuole bene.
“Voglio cambiare, dottoressa! Mi aiuti. Voglio essere diversa.”
“Come vorrebbe essere?” le chiedo.
“Vorrei essere indifferente, fregarmene di tutti, pensare solo a me stessa e non aver più bisogno di nessuno!” afferma, lo sguardo rivolto in alto a cercare quella se stessa, impossibile e desiderata come se fosse una vincita milionaria al superenalotto.
Per fortuna non esiste una cura in grado di cancellare il cuore!
Sulla base dell’esperienza clinica che ho maturato, credo che i sentimenti, la tenerezza e la cooperazione, siano l’unica medicina capace di curare la sopraffazione che sta avvelenando la nostra “civiltà”.
La sensibilità e l’empatia non sono malattie da curare ma, al contrario, costituiscono una cura per l’indifferenza, il cinismo e l’aridità di cuore (proprio quelle “malattie” che a volte mi viene chiesto di ottenere).
L’affermazione “Voglio essere normale” nasconde una trappola psicologica. Presuppone l’esistenza di uno standard uguale per tutti ed esclude la possibilità di esprimere l’unicità e la creatività che caratterizzano ogni essere.
Secondo la definizione del dizionario Merriam Webster, la salute mentale è “uno stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l'individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all'interno della società e rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno”.
Per raggiungere questo stato è indispensabile esprimere la propria originalità e il proprio potenziale creativo, infatti, è proprio la possibilità di manifestare ciò che siamo quello che ci fa sentire utili, soddisfatti, realizzati e felici.
Come afferma Bruno Munari: “Una persona creativa è una persona felice”, mentre chi non può esprimere la propria peculiare verità e originalità è una persona che inevitabilmente soffre, non sentendosi realizzata.
La creatività non può essere “normale”, può solo essere originale, diversa, nuova.
La “normalizzazione delle emozioni” costituisce una violenza agita a discapito della salute mentale e del benessere psicologico.
Non ci sono emozioni normali ed emozioni anormali, ci sono modi di sentire diversi per ciascuno di noi e ogni sentimento ha diritto di accettazione e di esistenza.
Per questo, cercare di raggiungere la normalità è, a mio parere, una patologia, una prigione mentale costruita intorno al proprio modo di amare.
In nome della “normalità” imbavagliamo e leghiamo la sensibilità e la creatività e troppo spesso finiamo per rinunciare alla nostra verità.
Il cuore non è normale.
E' vero.
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